Pubblicato il 27/08/2016, 14:01 | Scritto da La Redazione

Alessandro Gassman: Ho paura delle dirette tv

Alessandro Gassman: Ho paura delle dirette tv
L’attore romano intervistato da Fulvia Caprara per ‘La Stampa’: “È bello avere meno forza fisica: ora giocare con mio figlio e perdere mi dà grande soddisfazione”.

Alessandro Gassmann: “Mi fanno paura la diretta tv e la morte. La vecchiaia no, non sono come papà”

 

Rassegna stampa: La Stampa, pagina 28, di Fulvia Caprara.

“È bello avere meno forza fisica: ora giocare con mio figlio e perdere mi dà grande soddisfazione”.

«Fino a cinque anni fa – dice Alessandro Gassmann con uno di quei suoi sorrisi che accentuano le giovani rughe intorno agli occhi e alla bocca – ero convinto che mio padre fosse davvero Brancaleone. Sì, proprio quello dell’Armata». Flash dal bagaglio dei ricordi di un figlio d’arte che poteva essere annientato dall’ombra di un grande padre e che, invece, in un mondo che difficilmente perdona le fortune legate alle nascite, è diventato Alessandro Gassmann, romano, classe 1965, regista, attore di cinema, teatro e tv, cittadino impegnato nel sociale.

Se non avesse fatto l’attore?

«Volevo iscrivermi ad Agraria, ho una grande passione per la natura, sono uomo di campagna, di boschi, di verde. Invece ho cominciato con mio padre, in Affabulazione. Sentivo la necessità dell’indipendenza economica, ero belloccio, ho capito che potevo sfruttare questo aspetto. Lo pensava anche mio padre, ma non me l’ha mai detto. A scuola mi vedevo “capra”, a 19 anni sono andato in tournée con il Macbeth, facevo il macchinista, lì ho scoperto ciò a cui prima non prestavo attenzione».

Eppure lavorare in teatro con Vittorio Gassman non doveva essere semplice.

«Era duro, quando le cose non andavano lanciava le scarpe e io le ho prese, eccome, ma era generoso negli insegnamenti. Riconosceva gli spettatori con uno sguardo, da come occupavano la poltrona, diceva che i peggiori sono quelli che si siedono di traverso, con la testa di sbieco, le gambe reclinate e l’aria di chi pensa: “Questo lo so fare pure io”».

All’inizio essere «belloccio» rappresentava un problema?

«Per molti anni lo è stato, e le mie capacità non sono state subito evidenti. Adesso, con l’età, la bellezza conta sempre meno, la vista mi si abbassa e questo mi permette di non vedere troppo».

Ha imparato diversi mestieri, qual è il più difficile?

«La televisione, le apparizioni in pubblico, infatti non le faccio quasi mai, solo se è davvero indispensabile. La diretta mi terrorizza, ho il brivido dei grandi numeri, il teatro è tutta un’altra cosa, una forma di diretta superprovata in cui non c’è spazio per l’improvvisazione e un attore dà il meglio».

Due dei suoi ultimi lavori teatrali parlano di follia, Qualcuno volò sul nido del cuculo ambientato nel manicomio di Aversa e La pazza della porta accanto, su Alda Merini.

«Uno più drammatico, l’altro più malinconico. Di matti ne ho conosciuti tanti, ma i peggiori sono quelli che stanno fuori».

Per Qualcuno volò sul nido del cuculo ha lavorato con Maurizio De Giovanni, autore dei Bastardi di Pizzofalcone da cui è tratta la fiction che ha appena girato.

«Ci siamo conosciuti tanto tempo fa, quando lui lavorava in banca, frequentavamo insieme Pino Daniele. La sua voce mi ricorda tanto quella di Pino».

Quali sono gli altri incontri importanti della sua vita?

«Con Erri De Luca, di cui sono lettore appassionato, mi ha insegnato molto. Le sue idee possono essere opinabili, ma l’onestà intellettuale è indiscutibile. E poi Peter Fonda, nato come me il 24 febbraio. Per me lui è Easy Rider, incarna la scelta della libertà. Siamo simili: come lui, se non devo, non parlo».

Che cosa l’ha fatta maturare?

«L’essere diventato padre, 17 anni fa. Ho cercato di tenere mio figlio lontano dagli ambienti mondani, facendogli vivere la notorietà come se fosse una cosa normale. Poi mi hanno fatto crescere gli eventi che ci circondano, e, quando ho messo in scena La parola ai giurati ho sentito la spinta a occuparmi del sociale, ne ho ricavato una soddisfazione molto forte».

L’anno scorso, proprio in estate, aveva lanciato la campagna per la pulizia della capitale.

«Che mi sembra non abbia affatto funzionato, visto il disastro in cui ci troviamo. Se smettessero di litigare e si organizzassero per pulire, forse allontaneremmo il rischio colera».

Il sindaco, però, è cambiato.

«È troppo presto per dare giudizi su un sindaco che non ho votato, ma comunque è lì da poco, e i romani hanno un senso civico meno evidente di altri».

È anche «Goodwill Ambassador» per Unhcr, l’Agenzia Onu che si occupa dei rifugiati.

«Ho incontrato persone straordinarie, di grande generosità, l’Italia si sta sobbarcando doveri enormi e l’Europa è colpevole. Bisogna evitare i populismi di bassa lega, e non a caso uso la parola lega, ma anche l’eccesso di buonismo. Bisogna cercare un punto d’incontro con i musulmani senza essere invasivi. Il 95% dei morti causati dall’Isis è musulmano».

Una vita molto piena. Ha mai paura del tempo che passa?

«Della vecchiaia non ho paura, della morte sì. Avere meno forza fisica offre la possibilità di cercare altro, per esempio giocare con mio figlio e perdere mi dà grande soddisfazione. Se si è lavorato bene, ci si può anche sedere e guardare intorno».

Un atteggiamento che, forse, suo padre non ha saputo avere.

«Mio padre si è ammalato di depressione, una malattia che questo mestiere può acuire. Aveva cercato troppo i suoi personaggi ed era impreparato a quello di uomo anziano. E poi è sempre stato uno stakanovista, non si faceva mai un regalo, viveva per lavorare. Io viaggio, faccio sport, mi piacciono le piante, gli animali, cucinare…».

Più simile a sua madre Juliette Mayniel?

«Lei vive per vivere, ha 80 anni, abita in un paesino di montagna, cinque ore a Nord di Città del Messico, con le amiche, i cani e il bridge. In Italia non ha nessuna intenzione di tornare, le grandi città le fanno paura».

Dal 12 settembre è di nuovo sul set, nel nuovo film di Massimiliano Bruno, Beata ignoranza.

«È la storia di due professori di liceo, dai caratteri opposti, io sempre connesso, tutto telefonino, selfie e computer e Marco Giallini più vintage… Con lui mi diverto moltissimo, ho scoperto che sa tutto su mio padre, ruoli e battute a memoria».

Qual è il film di Vittorio Gassman che preferisce?

«Il Gaucho mi fa molto ridere, e poi La grande guerra, La famiglia, I soliti ignoti».

 

(Nella foto Alessandro Gassmann)