Pubblicato il 27/06/2016, 14:31 | Scritto da La Redazione

Come la Brexit cambierà anche lo show business e il mercato dell’audiovisivo

Brexit, anche lo show business fugge da Londra? Apriamo le porte dell’Europa

Rassegna stampa: Il Fatto Quotidiano, di Stefano Balassone.

Col Canale della Manica che si allarga, non solo la finanza farà fagotto, come si dice, dalla City di Londra dove ricicla il denaro da e per l’Europa, ma anche l’industria audiovisiva potrebbe cercare altrove l’ambiente ideale per avviare prodotti a tutto il mondo. Da tredici anni a questa parte Londra è infatti una delle capitali dell’industria creativa mondiale. Tutto perché grazie a una formidabile e sensatissima riorganizzazione (datata 2004) dei rapporti fra i suoi broadcaster generalisti e i suoi produttori indipendenti, ha cominciato a eruttare film, documentari, fiction, videogiochi, musica e tutto quel che affolla il consumo di prodotti culturali. Così, se un tempo guardavamo quasi soltanto a Hollywood, oggi nessuno potrebbe trascurare di osservare anche a quel che viene fuori da Londra.

Gli stessi produttori Usa tengono infilato nella porta inglese un robusto piedone al fine di “farsi europei” quanto basta per rifornire i cinema e le tv di tutta Europa senza darsi pensiero degli sforzi protezionistici che qua e la si sono tentati dietro l’usbergo della “eccezione culturale”, la gracile figlia del colbertismo francese nell’era della pop society. Anche noi, sulla scia dei francesi, un po’ ci proteggiamo attraverso un imponibile di commesse di lavoro a carico dei broadcaster a favore della produzione locale (pudicamente denominata “produzione europea”, tanto per non sembrare nazionalisti autarchici).

Ma ovviamente sarebbe assai più gratificante per tutti se, anziché proteggerci più o meno malamente, riuscissimo a vivere anche noi uno sviluppo dinamico con tanto di sortita e fortuna nel più vasto mondo del mercato globale della comunicazione. Oggi l’energia europea in questa direzione viene, con tutto merito, aspirata e incanalata da Londra, anche quel po’ che viene fuori dall’Italia. Ma se Londra si provincializza forse l’Italia può farsi sotto, a patto di imitare quel ”protezionismo dinamico” o, meglio, quello “sviluppo autoprotetto” che gli inglesi hanno saputo efficacemente inventarsi con la loro architettura di regole fra il servizio pubblico tv e la produzione privata di racconti e spettacoli.

In altri termini, così come Francoforte e Parigi, un nanosecondo dopo la Brexit, stanno facendo l’occhiolino alle società finanziarie che finora avevano scelto Londra come sede in cui indossare vesti legali europee, così anche il mondo dello show business potrebbe, anzi probabilmente dovrà, per una somma di ragioni legali, cercasi un posticino al di qua del Canale. Purché ne trovi uno che non sia organizzato talmente male, fra Commissioni parlamentari e par condicio, da fargli preferire le lontananze albioniche nonostante l’intervenuta frapposizione di una dogana che prima mancava.