Pubblicato il 24/05/2016, 11:33 | Scritto da La Redazione
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Diaconale: In Rai ci sono i gattopardi, non le novità

Diaconale: In Rai ci sono i gattopardi, non le novità
Il membro del Consiglio d’Amministrazione di Viale Mazzini, sulle pagine del quotidiano “Il Giornale”, esprime le sue perplessità sulle scelte di Antonio Campo Dall’Orto e Monica Maggioni.

La Rai dei gattopardi e il bluff della novità

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 12, di Arturo Diaconale.

È in corso in Rai un processo di gattopardismo televisivo. Si spaccia per  nuovo ciò che è vecchio quanto il cucco. Solo che questo vecchio riesumato viene illustrato con un linguaggio che punta sulla astrusità e l’oscurità lessicale per nascondere una riproposizione del passato spacciata per innovazione sfavillante al passo con lo spirito del tempo. Prendiamo l’esempio dell’epurazione di Nicola Porro e del suo programma Virus. La decisione, è stato autorevolmente spiegato, è stata presa perché il talk politico è in crisi e perché al suo posto ci sarà un programma dove «l’esperienza e il vissuto in prima persona» saranno «al centro del racconto». Ma che significa un discorso così astruso? Vuole dire che intanto si toglie un programma non fazioso e d’ispirazione liberale. E che successivamente lo si sostituisce con una riedizione politicamente corretta in senso renziano di un vecchissimo format inventato da Giampaolo Cresci che si chiamava Un volto, una storia. Il che pone un quesito niente affatto peregrino.

Ma ci voleva una legge di riforma Rai, un direttore generale trasformato in amministratore delegato, una raffica di nomine di esterni dai costi non indifferenti, la sostituzione di mezzo vertice aziendale e l’infioramento barocco su «racconti», «vissuti», «registri» per riproporre la solita pappa nel frattempo divenuta rancida? L’esempio di Virus non è isolato. Nessuno sa bene come saranno i palinsesti autunnali di Rai 1, di Rai 2 e di Rai 3. In compenso sappiamo che la rivoluzione di RaiSport sarà l’abolizione del Processo del lunedì, programma che si era abolito da solo ormai da parecchi anni. Che a Rai 1 l’innovazione più rivoluzionaria sarà la riduzione di una delle serate di Bruno Vespa (pare quella del giovedì) in nome della crisi dei talk stabilita a suo tempo dal premier. Che Rai 2, come si è visto, riesumerà il buon Cresci spacciandolo per una novità degna di competere direttamente con Netflix, Fox, la Bbc e chi più ne ha più ne metta. E che a Rai 3, dove il programma di punta destinato a salvare gli ascolti della rete sarà il Rischiatutto di Mike Bongiorno rivisitato dopo una quarantina d’anni da Fabio Fazio, si tornerà a puntare sui libri di Corrado Augias, che ha superato gli ottanta e, con ogni probabilità, su un ritorno in seconda serata di Gad Lerner, che essendo un ragazzo di primo pelo avrà il compito di stimolare gli ascolti dei telespettatori più giovani, quelli per i quali apparirà sicuramente come un inedito.

Se tutto questo gattopardismo televisivo fosse fine a se stesso bisognerebbe farsene una ragione. In televisione, come nel giornalismo, è già stato tutto inventato. Il guaio, però, è che l’orgia nuovista e il barocchismo lessicale che l’ammanta sono dirette a nascondere un’operazione di gigantesca omologazione politica del servizio pubblico radiotelevisivo. Servono a dare vita a Tele Renzi prima del referendum di ottobre. E a farlo in maniera dilettantesca e arrogante. Dilettantesca perché è realizzata in maniera inadeguata. Arrogante perché si pensa di prendere per i fondelli la gente. Il ché, per degli inadeguati, è decisamente eccessivo.

(Nella foto Monica Maggioni e Antonio Campo Dall’Orto)