Pubblicato il 08/02/2016, 12:35 | Scritto da La Redazione
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Sanremo – Claudio Cecchetto: “Il Festival era moribondo. Una rivoluzione lo salvò” – Al Bano: “Un flop a Sanremo mi ha svoltato la carriera”

Rassegna stampa: Il Giornale, pagina 22, di Laura Rio.

Claudio Cecchetto: “Il Festival era moribondo. Una rivoluzione lo salvò”

Il bacio di Benigni alla Carlisi, la sigla “demenziale”, il caso Claudio Villa. L’ex disc jockey svela i segreti delle edizioni anni Ottanta da lui condotte.

Lui era lì. A soli 28 anni. Nel 1980, l’anno della rinascita del Festival, l’anno dello «scandaloso» bacio tra Benigni e Olimpia Carlisi. Era lì pure nel 1981, l’anno di Maledetta primavera della Goggi, di Per Elisa di Alice, di Gioca jouer nella sigla. E nel 1982, l’anno del caso Claudio Villa, dell’esordio di Vasco Rossi, del collegamento via satellite da New York con i Kiss, di Felicità di Al Bano e Romina. Insomma Claudio Cecchetto, un pezzo di Sanremo, un pezzo della musica italiana, un pezzo della radiofonia italiana.

A settembre debutta in Rai con Discoring, a febbraio è lanciato sul palco del Festival come conduttore: nel 1980 la tv di Stato era impazzita?

«Il Festival stava morendo, volevano rivoluzionarlo, tolsero l’orchestra, cambiarono le scenografie e cercarono un giovane disc jockey. Ravera (lo storico patron di Sanremo) mi disse: “mi serve uno veloce che presenta i cantanti senza tante manfrine, io devo chiudere la trasmissione entro le 23,30 altrimenti da Roma mi tolgono la linea”. E così chiamarono me».

Chissà che fifa…

«Avevo l’incoscienza dei giovani… Poco prima di entrare in scena mi nascosi dietro una tenda, avevo bisogno di cinque minuti per stare con me stesso. Tutti mi cercavano disperatamente…».

Si trovò accanto Benigni…

«Nelle prime serate era lì in platea che mi osservava con sguardi di simpatia. Mi presentò come “il principe dei disc jockey” e per me fu come mettere il turbo. Mi trovai immerso nelle polemiche per quel bacio alla Carlisi e mi chiedevo stupefatto, da giovane ingenuo, come mai la gente potesse indignarsi, ma erano altri tempi…».

Fu l’ultima edizione in onda in tv una sera soltanto, il sabato…

«Sì, le prime due serate, giovedì e venerdì, erano in radio, fino alle 23. Poi si accendevano le telecamere e raccontavo su Rai 1 come era andata la gara, mi ero fatto costruire una consolle. Quell’anno fu un tale successo che si decise per il Festival successivo di passare da una a tre serate riprese in tv. Era l’epoca della nascita delle reti private e la Rai doveva svegliarsi».

E l’anno dopo il Festival aprì con la celeberrima Gioca jouer, la sigla che ha segnato il suo successo eterno.

«La canzone era pronta da mesi, Ravera mi disse “aspetta, non pubblicarla”, e la usammo come sigla di Sanremo. Figuriamoci, prima c’erano i violini e i fiori, poi sono arrivati i ballerini con musiche demenziali per allora. E la gente credeva che a ballare fossi io».

E arriviamo al 1982, quando fu alle prese con la bufera sollevata da Claudio Villa, eliminato la prima sera, il suo ricorso al pretore che insinuava sospetti sulle giurie, tutte le polemiche che ne derivarono.

«Alla fine della sua esibizione ci fu un grandissimo applauso, per non interromperlo uscii da dietro il palco al rallentatore. Il giorno dopo mi incontrò e mi disse, durissimo: “se sono stato eliminato è anche colpa tua che mi hai tolto l’applauso, ti darei un pugno su quel nasone…”. Io non me la presi, anzi fui contento: lui era Claudio Villa, poteva dirmi quel che voleva».

Tante volte si è vociferato di situazioni poco chiare nelle classifiche sanremesi…

«Il primo anno gli addetti ai lavori mi dissero in anticipo che avrebbe vinto Toto Cutugno e io replicai che non ne avevo nessun sentore: vinse Cutugno. Il secondo anno successe la stessa cosa con Alice. E il terzo pure con Riccardo Fogli. Ma io non sospettai mai niente. Ravera mi spiegò: “ci vogliono quelli che vincono, e anche quelli che perdono”. Insomma le canzoni venivano scelte sapendo già se avrebbero sfondato o meno. E infatti certi brani sono rimasti nella memoria collettiva».

Circolano anche tante leggende su notti di fuoco.

«Quando io ero a Sanremo uscivo alle 23,30 dal teatro, andavamo a cena, e poi ancora pieno di adrenalina non riuscivo ad andare a dormire e allora giravo da solo per i bar, quello della stazione, della piazzetta, ma non c’era in giro nessuno, Sanremo era deserta. Tanto che quando tornai poi come produttore di Jovanotti e Max Pezzali, affittai una discoteca per farli un po’ divertire e lì arrivavano tutti i cantanti e si faceva baldoria».

Perché non rimase in Rai, non fece il quarto Sanremo e andò a Canale 5?

«Perché volevo lavorare a Milano, la mia città, e perché l’offerta economica che mi fecero mi permise di realizzare il mio sogno, aprire una radio: Deejay».

Cosa pensa dei Festival di oggi?

«Purtroppo i dirigenti devono preoccuparsi di mantenere alti gli ascolti, hanno bisogno del successo immediato. Invece ai miei tempi si pensava a trovare il brano giusto che la gente avrebbe cantato per mesi e, per questo, sarebbe tornata a guardare il Festival l’anno successivo».

L’anno scorso è tornato in Riviera come presidente di giuria.

«Il Festival di Conti mi è piaciuto molto, perché è tornato alla formula di quando presentavo io, dando spazio più alla musica che allo spettacolo. Nei Festival di Fazio passavano anche venti minuti tra una esibizione e l’altra. Conti si mette al servizio degli artisti che presenta, non al servizio di se stesso. E questo la gente lo percepisce».

 

Rassegna stampa: Libero, pagina 19, di Chiara Maffioletti.

Albano: “Un flop a Sanremo mi ha svoltato la carriera”

Da Cellino al resto del mondo: “Sono il Cristoforo Colombo della musica leggera”. “Dopo l’edizione del ’68 la critica mi abbandonò e iniziai a cantare all’estero. Il Festival oggi? Troppo gossip ma voglio tornarci”.

Nove volte da solo, cinque con l’ex moglie Romina Power, Al Bano Carrisi insieme a Milva e Toto Cutugno è il maratoneta di Sanremo, la sagra della musica che da domani monopolizzerà le serate degli italiani sotto la guida di Carlo Conti (bis). Lo scorso anno, come super ospite insieme a Romina, il leone di Cellino San Marco, 72 anni, cantante, attore, viticultore, ex naufrago dell’Isola dei famosi, ha riunito l’Italia alla tv: in quel momento giovani e anziani hanno cantato, ballato, gioito, forse pianto davanti a quella che era la coppia perfetta, la coppia dei sogni. Al Bano racconta perché Sanremo è Sanremo dal set canadese di Così lontani così vicini, il programma di Rai 1 che conduce, guarda un po’, proprio con l’ex compagna di una vita, la figlia di Tyron Power che gli ha dato quattro figli. «Ho sempre fatto televisione, sono 50 anni che faccio questo mestiere», dice sul nuovo ruolo di conduttore.

E con Romina come si trova?

«Bene: ci vediamo pochissimo (ride, ndr), lei infatti in questo momento è a fare le riprese in Sicilia. Sul palco siamo sempre andati d’accordo».

Siete tornati insieme per business, quindi?

«Faccio questo lavoro da sempre. Da solo o in coppia. Fare le cose per business non mi appartiene».

La vostra reunion sanremese è finita anche nel film di Checco Zalone come simbolo dell’Italia unita. È cosi?

«Con Zalone farei un film domani, sono suo fan dalla primissima ora. Checco è un genio, il suo regista Gennaro Nunziante pure. Non poteva che venirne fuori l’idea geniale di prendere i personaggi più importanti della passata kermesse. Lo scorso anno la nostra esibizione ha fatto il 62% di share. Sinceramente non mi aspettavo tanto».

Perché secondo lei?

«Io e Romina non abbiamo mai fatto niente di falso. Sono stati veri l’amore, i figli, l’abbandono. La gente ama la verità».

Sanremo cos’è?

«Per me è stata la fabbrica di tutti i miei sogni, ricordo Domenico Modugno, la lotta con Claudio Villa».

Lo guarderà?

«Purtroppo no perché sono in Canada. Ma Carlo Conti farà un grande Festival. Come regola personale mi sono posto quella di fare Sanremo un anno sì e uno no. Le dirò, fare l’ospite d’onore mi ha fatto un effetto strano, mi è mancato il brivido, l’adrenalina della gara che ti parte dalla punta dei piedi e ti arriva fino all’ultimo capello».

Come è cambiato negli anni il Festival?

«Oggi purtroppo l’aspetto musicale è meno importante mentre lo è di più quello gossipparo, non so perché, in fondo gli ascolti, a parte due edizioni in calo, sono sempre stati forti. Oggi, meno di prima, le canzoni ti restano addosso come bellissimi nei sulla pelle».

Quali brani rappresentano meglio Sanremo?

«Volare di Modugno, L’Italiano di Toto Cutugno e Io che non vivo di Pino Donaggio».

Più recenti?

«Mmh…».

E tra i suoi cavalli di battaglia?

«Ne ho portati quasi quindici, ma il pezzo che ha fatto più breccia è stato Felicità. Era la canzone giusta al momento giusto. Arrivavamo da dieci anni orribili, gli anni Settanta. C’erano in giro solo canzoni da funerale. Non sopportavo più quell’Italia in ginocchio, mi ribellai e me ne andai in Spagna. Ma appena sentii Felicità, che non avevo scritto io, pensai fosse il brano perfetto».

Un Sanremo che ricorda con amarezza?

«Quello del 1968. Il mio pezzo vinse il Premio Luigi Tenco, che aveva deciso di lasciarci l’anno precedente. Cantavo La Siepe, secondo me uno dei pezzi più belli che ho fatto. Arrivavo da Nel Sole, 19 settimane consecutive al primo posto. Tutti dicevano che avrei vinto io, ero sommerso dall’entusiasmo. Invece arrivò primo Sergio Endrigo con Roberto Carlos. Prima erano tutti con me, poi il vuoto. Ho sentito un senso di abbandono, ero solo».

Parla della critica o del pubblico?

«Il pubblico non mi ha mai lasciato. Parlo della critica. Da un giorno all’altro l’acclamazione sparì, allora decisi di ritirarmi in una “selva oscura”, come diceva il Sommo Poeta. Decisi di varcare le Alpi, andai all’estero e la cosa mi fece capire meglio questo mestiere. È iniziata una bella stagione spagnola, poi australiana… Sono il Cristoforo Colombo della musica leggera italiana».

In Russia è l’idolo, la sua reunion con Romina è stata un evento. Nella Terra di Putin è più gettonato lei, Pupo o i Ricchi e Poveri?

«Se i russi potessero, farebbero a Celentano una statua sulla Piazza Rossa, mi creda. E anche Riccardo Fogli va alla grande. Siamo tutti sullo stesso livello».

Quest’anno il Festival è pieno di divi dei talent. Rischiano di bruciarsi?

«Non farei un discorso di talent. Chiunque tu sia, da Al Bano a Toto Cutugno, se non hai il pezzo giusto al momento giusto fallisci. “Come va, come va, tutto ok tutto ok” era una canzone che parlava dell’ecologia in modo ironico. Vorrei che si riportasse al centro il fattore musicale. I talent non mi dispiacciono, mi hanno proposto tante volte di fare il coach. Ma chi sono io per giudicare?».

Tra i giovani chi le piace?

«Tiziano Ferro, Negramaro, Marco Mengoni ed Emma: fui uno dei primi a pronosticare il suo successo, è molto forte».

C’è un nuovo Al Bano?

«Mica sono morto. Non c’è, dovrebbe avere tanta pazienza. Sono diventato mio malgrado il re del gossip. Che più odio, più mi insegue».

Cosa le manca?

«Non sono mai fermo. Lavoro tutti i giorni. Il mio progetto è quello di un film, di cui curo anche la regia, su mia madre dal titolo Con gli occhi del cuore. Un po’ come quello che feci per la pellicola su mio padre nel 1999, un bel testamento. Diventerà una bandiera: la gente viene a Cellino per andare sulla tomba di mia mamma, era molto amata».

Lei a Cellino è il re, vero?

«Non esageriamo: c’è tanta invidia, volo basso. Sì, ho i vini buonissimi, un grande albergo, la spa, lavoro sodo. Tutti i soldi che ho li ho investiti lì».

Lei ha avuto sei figli, che voto si dà come padre?

«Sette più. Il due e mezzo per arrivare al dieci manca perché non sono potuto essere presente 365 giorni all’anno per i miei ragazzi. Li ho cresciuti con i valori di mia madre e mio padre: la correttezza, l’onestà, l’impegno sociale. La sera mi corico a letto revisionando me stesso e pensando che non ho fatto nulla di male».

Non ama il gossip ma ci dica: è single o è ancora legato a Loredana Lecciso?

«Sono responsabile dei miei figli e ho un bel rapporto con Loredana. La faccenda del single non mi appartiene. Nella vita ho avuto parecchie patate bollenti ma ho sempre trovato il modo di affrontarle».

Riveli un suo difetto.

«Ho sempre lavorato troppo per produrre difetti (ride, ndr)».

Il tecnico di Così lontano così vicin “rapisce” qualche minuto Al Bano per sistemargli il microfono per la trasmissione. Allora lui ci passa al telefono la figlia Jasmine.

«Mi ha accompagnato qui in Canada, ha 14 anni; Jasime, parla con la giornalista di Libero, un importante giornale».

Pronto Jasmine, lo dici tu un difetto di tuo padre?

«A scuola è esigente, e poi un po’ severo con chi frequento: ma non sono difetti. Il pregio? Faccio tanti viaggi con lui, come questo».

Al Bano torna alla cornetta.

Ultima domanda: Sanremo, prima o poi, lo condurrà lei?

«No, grazie. Ho fatto qualcosa di male?».

 

(Nella foto Claudio Cecchetto)