Pubblicato il 13/10/2015, 11:35 | Scritto da La Redazione
Argomenti: , ,

I Pm: “L’asta dei diritti tv truccata da Infront per favorire Mediaset”. Il pallone italiano senza le tv muore

Rassegna stampa: La Repubblica, pagina 2, di Marco Mensurati e Emilio Randaci.

“L’asta dei diritti tv truccata da Infront per favorire Mediaset” ecco le accuse dei Pm

Milano, indagati i dirigenti di Rti (Fininvest). Lo scandalo si allarga: perquisiti i club di A e B. Perquisizioni della Finanza: nel mirino Milan, Lazio e Samp.

Mail, sms, ma perfino messaggi su ogni tipo di sistema di “corrispondenza informatica”. Da Skype per finire a Whatshapp. Venerdì scorso, la pattuglia della guardia di Finanza di Milano che ha bussato agli uffici dei più alti dirigenti di Mediaset, Giorgio Giovetti (responsabile dei diritti sportivi Reti televisive italiane) e Marco Giordani (numero uno Rti) aveva l’ordine di raccogliere ogni traccia possibile del presunto accordo occulto per la spartizione dei diritti televisivi della serie A nel triennio 2015-2018. I due alti manager del Biscione hanno scoperto così di essere indagati dalla procura di Milano per concorso in turbativa d’asta. Un affare da poco meno di un miliardo di euro (930 milioni); il pilastro per dirla con le recenti profetiche parole del presidente della Figc, Carlo Tavecchio che sostiene l’intero sistema; la principale, se non unica, fonte di approvvigionamento finanziario delle società. Quell’affare, si scopre oggi, anche se lo si sospetta da sempre, sarebbe stato gestito dalla Lega Calcio in maniera illegale.

Di questo si sono convinti i magistrati milanesi, Roberto Pellicano, Paolo Filippini e Giovanni Polizzi, che hanno mandato i finanzieri in Lega a prelevare tutte le carte relative alla procedura di assegnazione di quella gara. Quella era solo la prima tappa del blitz dei militari, che poco dopo hanno bussato alle sedi di Infront l’advisor della Lega, nonché grande regista di tutta l’operazione per perquisire il presidente Marco Bogarelli, e i consiglieri Giuseppe Ciocchetti e Andrea Locatelli. E infine, a Cologno Monzese, nel cuore di Mediaset. Ma cosa ha spinto i magistrati a cercare queste prove? La risposta è contenuta nel decreto di perquisizione: «Il management di Infront, nello svolgimento dell’iter di assegnazione delle licenze dei diritti audiovisivi relativi agli eventi sportivi (diritti tv 2015-18, ndr.), colludendo con i dirigenti Rti, ha turbato i relativi bandi e il corretto e imparziale svolgimento delle gare, in particolare violando i canoni di trasparenza e leale concorrenza in favore del competitor Rti (Mediaset)».

Se si dovessero lasciare per un attimo le parole ingessate del passo centrale del decreto, la traduzione più banale è che la “torta” dei diritti sarebbe stata falsata per favorire la società fondata da Silvio Berlusconi. Dalla quale, non sembra un caso, proviene proprio quello che sembra essere il deus ex machina di tutta questa vicenda, Marco Bogarelli. Quando la sua Infront, nel 2008, bussò alle porte della Lega Calcio, in pochi sapevano chi fossero quei manager così capaci e preparati. Di sicuro li conosceva bene Adriano Galliani che ci aveva lavorato insieme ai tempi di Fininvest prima, e di Media Partners poi, la società che Bogarelli, Locatelli e Ciocchetti fondarono negli Anni 90 capitalizzando l’esperienza maturata a Cologno. I Galliani boys, li chiamavano. Impropriamente. Perché il rapporto, almeno quello tra Bogarelli e l’amministratore delegato del Milan, è sempre stato molto più alla pari di quanto non dicesse quell’espressione. Per questo motivo, in molti, soprattutto a Sky, storsero il naso quando Infront venne scelta come advisor della Lega (il cui presidente era Galliani) per i diritti tv. Temevano favoritismi nei confronti di Mediaset. Timori che si rivelarono fondati. L’asta venne vinta da Sky, ciononostante, facendo leva su alcune zone grigie della Legge Melandri, Bogarelli convinse la Lega a non assegnare quei diritti così come risultato dall’asta, ma a ripartirli tra Sky e Mediaset, modificando a posteriori lo schema dell’assegnazione originaria.

Ma come fece Bogarelli a convincere la Lega Calcio che, tra l’altro, per effetto di quella ripartizione ha anche guadagnato meno? E qui arriva la seconda parte dell’inchiesta della procura di Milano. I finanzieri dopo la visita a Mediaset sono infatti andati a fare visita presso le sedi del Genoa e del Bari Calcio nonché in quella della Mp & Silva, di Riccardo Silva, gestore dei diritti per l’estero e anche lui considerato uomo vicino a Fininvest. Cercavano le prove di alcuni pagamenti indebiti fatti da Infront e lo stesso Silva, per aiutare i due club in difficoltà economiche ad aggirare la vigilanza della Covisoc e iscriversi senza problemi al campionato (di qui l’indagine per ostacolo all’autorità di vigilanza). La procura nel motivare questa perquisizione sembra descrivere quello di Infront come un “sistema”. La società scrivono i pm oltre al ruolo di advisor per la Lega, gestisce il marketing di alcune tra le più importanti squadre di calcio, tra le quali «I’Ac Milan, la Lazio, il Genoa e la Sampdoria». Ovvero, Adriano Galliani, Claudio Lotito, Enrico Preziosi e Massimo Ferrero. Un quartetto di club, e di presidenti, che rappresenterebbe il nocciolo duro della sponda istituzionale di Bogarelli. Nocciolo intorno al quale, come le cronache raccontano puntualmente, si catalizzano regolarmente decine di altri piccoli e grandi club spesso in difficoltà economica, come il Bari. Gli stessi club che, tutti insieme, hanno votato Maurizio Beretta presidente della Confindustria del Pallone, Carlo Tavecchio presidente della Federcalcio. Gli stessi che di votazione in votazione, di asta in asta, si ritrovano sempre tutti d’accordo.

 

Rassegna stampa: Corriere della sera, pagina 50, di Arianna Ravelli.

Il peccato originale del pallone italiano: senza le tv muore

Al netto dei vari filoni di inchieste che in questi giorni stanno diffondendo nuovi brividi nel mondo del calcio, e che verificheranno, per esempio, se l’asta peri diritti tv è stata «turbata», o che uso alcune società hanno fatto dei soldi in arrivo a vario titolo da Infront (se è stato disinvolto, se è servito per maquillage sui bilanci, se ad aggirare i parametri della Covisoc) c’è un problema di sistema o, meglio, un peccato originale che rende il nostro calcio costitutivamente vulnerabile: senza i soldi dei diritti tv muore. «C’è stato un momento dicono nei corridoi della Lega in cui ci siamo consegnati a Infront». Un po’ crudo, ma, se è avvenuto, di sicuro è stato in cambio di molti soldi e per qualcuno (magari più d’uno) sarà stata avidità, per qualcun altro sopravvivenza (oggi i club possono mettere a bilancio anche quello che incasseranno in futuro dalle tv). Non ci sono altre fonti di entrata che possano rendere le società un po’ meno dipendenti da questo flusso, negli anni crescente, di denaro.

Le altre possibili (e che per esempio aiutano a sostenere club inglesi e tedeschi), sono il merchandising e gli stadi, ma in Italia non si riescono a sfruttare. Della difficoltà di costruire impianti di proprietà si sa tutto, ma diverse squadre non riescono a trovare nemmeno lo sponsor di maglia. Così, ogni volta che sono andati a trattare un’asta dei diritti tv, i club hanno trattato l’aria che respiravano. E più aumentavano i soldi, più si rafforzava il potere di Infront (presentato alla Lega come possibile advisor per la vendita dei diritti tv nel 2008 da Antonio Matarrese) e, di conseguenza, di chi lo appoggiava politicamente (su tutti Claudio Lotito). Dall’avvento della pay tv in Italia, nel 1993, passando per la Legge Melandri che ha rimesso nelle mani della Lega la titolarità dei diritti di A, l’incremento è stato del 66%: dai 725 milioni del 2009-10 (ultima stagione col regime di vendita individuale), al miliardo e duecento milioni medi annui per il triennio 2015-18.

Così l’opera di Infront è diventata sempre più cruciale e più vasta. Per dire: la legge Melandri ha lasciato la possibilità ai club di cedere i propri diritti di archivio e di produrre le immagini delle partite. E oggi molte squadre, per entrambi i servizi, si avvalgono proprio di Infront (che pare ci guadagni una ventina di milioni l’anno). Il passo successivo sembra segnato: che la Lega, fiancheggiata sempre da Infront, si faccia la propria tv (e la regia unica per la ripresa delle partite sembra il primo passo in questa direzione), producendo e vendendo i propri contenuti direttamente. Magari con qualche problema per la libertà di cronaca, ma questa è un’altra storia (forse).

 

(Nella foto Marco Giordani)