Pubblicato il 10/10/2015, 18:01 | Scritto da La Redazione
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Paolo Mereghetti del ‘Corriere’: “Gli scandali politici di ‘Suburra’, mondo oscuro che non convince”

Paolo Mereghetti del ‘Corriere’: “Gli scandali politici di ‘Suburra’, mondo oscuro che non convince”
Il critico del Corriere della Sera stronca il film “targato” Netflix. A pochi giorni dall'uscita nelle sale e sulla piattaforma è già stato visto dagli addetti ai lavori che hanno esternato qualche perplessità.

Rassegna Stampa: Corriere della Sera, pagina 55, di Paolo Mereghetti.

Gli scandali politici di “Suburra”, mondo oscuro che non convince

Troppe storie incrociate. Si salvano gli attori: Favino, Amendola e Germano.

A chi si deve credere? Si esce con questo dubbio dalla proiezione di Suburra, il nuovo film di Stefano Sollima: bisogna credere al film appena visto con i suoi caratteri e le sue storie o alla memoria che cerca di collocare i vari personaggi all’interno della cronaca politico-criminale? Meglio la finzione che quella realtà dorrebbe ricapitolare e riscrivere o meglio la realtà, talmente forte e incalzante da soffocare se non proprio annullare il lavoro di finzione? Perché se una cosa non convince in Suburra è proprio che questi due piani non si fondono, non collaborano tra di loro, ma sembrano costantemente in guerra, in opposizione. È una delle grandi sfide del cinema quella di saper ricreare la realtà per forza d’invenzione, per restituire la credibilità e la leggibilità di un fatto o di un personaggio storico, ma anche per farlo apparire sullo schermo bigger than life (e quindi più attraente, più interessante, più repellente o più mostruoso poco importa). Certo, il rischio è quello di allontanarsi dai “fatti”, di dimenticare o cancellare una parte della “storia, ma è un rischio che va preso (e che si prendeva il cinema di genere, che tanto piace a Sollima e ai suoi produttori di Cattleya) per dare forza e corpo alle storie che si sono scelte di raccontare.

Suburra invece — e il problema mi sembra soprattutto della sceneggiatura che Rulli e Petraglia hanno tratto dal libro omonimo di Bonini e De Cataldo, con la collaborazione dei due autori — sembra preoccuparsi piuttosto di non farsi prendere alla sprovvista dalla realtà che ogni giorno si incarica di offrire nuovi spunti all’immaginazione popolare. E quindi dentro tutto: la fine del governo Berlusconi e la dimissioni di papa Benedetto XVI, i deputati che fanno i festini con le escort e gli ultimi epigoni della Banda della Magliana, la nuova criminalità «con le palle, ma non con la testa» e gli zingari cravattari, lo Ior e il Parlamento, Ostia e piazza del Popolo, la droga e le minorenni. Un po’ troppo per un film solo, anche se di 90 minuti, ma forse non troppo per la futura serie tivù, che per tenere sveglia l’attenzione ha bisogno di tanti personaggi e tante situazioni. Ecco perché dicevo che qualcosa non funziona in Suburra: sembra di veder animarsi le pagine dei giornali con l’elenco degli scandali che hanno colpito di più l’opinione pubblica (figurarsi se non c’era anche il lusso pacchiano degli zingari arricchiti: ricorda qualcosa?), ma che da soli non bastano a creare vero cinema. Nemmeno se, in una scena e l’altra anche, piove a dirotto, come nei melodrammi anni Cinquanta, quando l’eroina di turno doveva ingoiare l’amaro calice. Ed è un peccato perché sono molti gli elementi positivi del film, a cominciare da un cast di attori decisamente convincenti.

Su tutti il «samurai» di Claudio Amendola, anima nera della criminalità romana preoccupato di tenere insieme malavita, politica e finanza; e il cinico PR Sebastiano, a cui Elio Germano offre un’ambiguità e una mancanza di scrupoli perfettamente adeguata ai tempi. Convincente anche la prova di Pierfrancesco Favino nei panni del deputato Malgrati, soprattutto quando incarna l’arroganza e la strafottenza del potere piuttosto che quando si abbandona a festini a base di droga e minorenni. Senza dimenticare i volti meno noti di Alessandro Borghi (già visto in Non essere cattivo di Caligari), Adamo Dionisi e Giacomo Ferrara a cui il film attribuisce le facce della nuova criminalità. Tutto questo Sollima lo dirige con la professionalità che nessuno gli contesta, ma senza essere davvero capace di iniettare un po’ di vera vita a dei personaggi realistici, ma mai davvero «veri».