Pubblicato il 22/02/2013, 14:34 | Scritto da La Redazione

SPECIALE ELEZIONI: IL RUOLO DEI GIORNALISTI TV, DALLA GUERRA FREDDA ALLA TELECRAZIA

Attraverso video esclusivi ecco gli esordi dei giornalisti che oggi dominano la tv italiana. Ripercorrendo i la loro carriera si vedono ribaltoni e salti mortali da uno schieramento all’altro. Buoni per tutte le stagioni.

Il giornalismo italiano di carta stampata, non è un segreto, nasce come «voce del padrone» per servire interessi specifici di lobby e non come iniziativa imprenditoriale di editori puri di tipo anglosassone. Il caso Rizzoli P2 negli anni ‘70 e l’intervento di Andreotti-Ciarrapico per impedire che Berlusconi acquisisse il gruppo Espresso-Repubblica all’inizio degli anni ‘90 stanno lì a dimostrarlo. Con l’informazione televisiva le cose non sono andate diversamente, essendo la Rai nata sotto l’ombrello istituzionale del Governo. Con la sentenza della Corte costituzionale del 1974, il controllo della Tv di Stato passa dal Governo al Parlamento e da quel momento inizia la lottizzazione, che raggiungerà il suo culmine negli anni che precedono Tangentopoli con la spartizione perfetta: Rai1 alla Dc, Rai2 al Psi e Rai3 al Pci. L’informazione targata Fininvest nasce ufficialmente nel gennaio 1991 con Studio Aperto, un anno dopo la legge Mammì e in occasione della Guerra del Golfo. I tg di Mentana e Fede nascono quindi per l’effetto di una legge e non perché il Biscione fosse realmente interessato a fare informazione televisiva.

Durante la Prima Repubblica, l’Italia è il Paese spartiacque tra mondo libero e cortina di ferro e di quest’importanza si rendono subito conto gli americani, che iniziano a controllare la radio sin dall’immediato dopoguerra e poi la nascente Rai Tv attraverso l’Usis (United States Information Service) e la stazione di Roma della Cia. Lo strumento usato maggiormente è il cosiddetto soft power, cioè far passare i valori americani attraverso figure di prestigio che dagli schermi tv magnificano i valori del liberismo e del consumismo. A prestarsi al gioco della Guerra Fredda in funzione anti-Pci sono volti popolari come Indro Montanelli, Ruggero Orlando, Carlo Mazzarella, Furio Colombo ed Enzo Biagi, senza dimenticare il ruolo fondamentale del primo presentatore della tv italiana non a caso per metà americano: Mike Bongiorno.

L’opposizione è confinata nello spazio delle tribune politiche e a far le domande scomode ci pensano altri giornalisti, meno famosi e votati al sacrificio della direzione di giornali di provincia in attesa del prestigioso trasferimento nella capitale. Tra questi figura Augusto Mastrangeli, il giornalista di Paese Sera passato alla storia per essere stato il primo in una famosa tribuna del 1960 a chiedere conto non a un politico qualunque ma addirittura ad Aldo Moro delle infiltrazioni mafiose nella Dc. Completamente a digiuno di grammatica televisiva, il segretario dello Scudo Crociato, in quell’occasione, si arrampicò sugli specchi iniziando a muoversi nervosamente sulla sedia in cerca di aiuto (guarda il video).

Il 1968 produce i primi scossoni al sistema. La società italiana ha bisogno di riforme sociali che la Dc non vuole o non può fare. Il Pci cresce sempre di più nei consensi e la cosa preoccupa seriamente gli Stati Uniti. Il risultato è tristemente noto: oltre dieci anni d’immobilismo dovuto a stragi e attentati, senza dimenticare l’esplosione della tossicodipendenza «introdotta» per calmare i furori giovanili protrattisi per troppi anni dal ‘68 al ‘77.

Tutto questo determina un’informazione ideologica che vede la Rai sempre e comunque dalla parte del Governo almeno sino a quando non comincia a fare i conti a metà degli anni ‘70 con la concorrenza: quella interna del Tg2 più laico e socialista, quella delle migliaia di tv locali spuntate come funghi nel Paese e infine quella minoritaria di giornalisti freelance che cominciano a teorizzare la controinformazione grazie all’uso di macchine da presa e telecamere più compatte, come Alberto Grifi, di cui resta famoso il reportage al Parco Lambro di Milano nel 1976, per il Festival del Proletariato Giovanile (guarda il video).

Non può quindi sorprendere che questo intreccio tra politica, informazione e affari costituisca una parte integrante della biografia di praticamente tutti i volti noti del giornalismo televisivo italiano di ieri e di oggi. È in questo contesto che muovono i primi passi Enrico Mentana, Giovanni Minoli, Gad Lerner, Lucia Annunziata. Michele Santoro, Giuliano Ferrara, Augusto Minzolini, Lilli Gruber, Paolo Mieli, Paolo Liguori.

Sono tutti, chi più chi meno, giornalisti che hanno avuto stretti legami con la politica, giocando spesso al tira e molla e continuando a esercitare contemporaneamente più incarichi per i quali il sospetto di conflitto di interesse diventa in molti casi matematica certezza. Esemplare è il caso di Giuliano Ferrara, figlio del dirigente Pci e direttore dell’Unità Maurizio e autentica banderuola vivente, che ha fatto suo il motto: «Chi non cambia mai idea, è un imbecille». Giovane funzionario del Pci a Torino negli anni Settanta, anticomunista e spia della Cia alla corte di Craxi negli anni Ottanta, Ministro-portavoce del primo governo Berlusconi, Ratzingeriano antiabortista negli anni Duemila, Ferrara è narciso nella testa e nel fisico sin da adolescente, quando viene chiamato a interpretare un piccolo ruolo a 14 anni nel film Le stagioni del nostro amore di Florestano Vancini sulla crisi ideologica di un uomo borghese di mezza età appartenente al Psi e interpretato da Enrico Maria Salerno (guarda il video). A differenza di Salerno, il giovane Ferrara non ha mai avuto crisi e se c’era da cambiare casacca, lo ha fatto sempre volentieri: dal ’68 di Valle Giulia quando si scontrava con i celerini ai toni barricadieri del rivoluzionario in redingote dello sceneggiato in costume Non ho tempo ambientato nella Parigi del 1825 (guarda il video) sino all’incredibile performance a brache calate nel film Azzurri di Eugenio Masciari (guarda il video).

In quota Psi figurano invece Mentana (guarda il video), Gruber (guarda il video) e Minoli, quest’ultimo imparentato anche con il potente Ettore Bernabei, direttore generale della Rai dal ‘61 al ‘74 e poi presidente della Lux Vide guidata dalla figlia Matilde, moglie di Minoli. A differenza degli altri, Minoli non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per Craxi, come testimonia il famoso spot al supermarket del 1987 (guarda il video), ma può anche rivendicare di aver inventato decine di format e programmi che in molti gli hanno poi copiato senza citare mai il debito.

Pci e movimenti extraparlamentari sono rappresentati invece da Santoro, Annunziata (guarda il video), Lerner (guarda il video) e Minzolini, il “direttorissimo” nominato da Berlusconi alla guida del Tg1 nel 2009. Fa un certo effetto rivederlo giovanissimo e un po’ “cazzaro” nel film Ecce Bombo di Nanni Moretti (guarda il video).

Bruno Vespa (guarda il video), Emilio Fede (guarda il video) e Fabrizio Del Noce (guarda il video) sono infine i veterani con radici nella Dc, un “imprinting” che servirà loro per attraversare tutte le stagioni dell’informazione tv italiana dalla Prima Repubblica a Forza Italia, Ulivo e inciuci successivi. 

Negli ultimi dieci anni, l’informazione in Rete ha in parte eroso il potere di molti di questi giornalisti del piccolo schermo, ma sino a quando la televisione rimarrà il media principale per la maggior parte degli italiani, per molti di loro ci sarà ancora da lavorare e solo in qualche caso per meriti conquistati sul campo.

 

twitter@LucaMartera

 

 

(Nella foto, a sinistra, un giovanissimo Giuliano ferrara con Berlinguer e Piero Fassino)