Pubblicato il 21/02/2013, 14:05 | Scritto da La Redazione

SPECIALE ELEZIONI: RAI3 IERI COME LA7 OGGI, L’ETERNO INCIUCIO TRA BERLUSCONI E I “COMUNISTI”

 

Continua lo speciale dedicato al voto di domenica e lunedì, attraverso video esclusivi e la rilettura di fatti storici del rapporto tra politica e televisione.

 

È di ieri l’articolo firmato da Aldo Fontanarosa ed Ettore Livini per La Repubblica in cui si ripercorre la storia di tutte quelle che i due giornalisti definiscono le leggi e gli spot «ad Colognum», fatte approvare da Silvio Berlusconi da quando è in politica per favorire Mediaset, controllare la Rai e indebolire Sky. Questo disegno, da loro definito struttura Delta, inquina il mercato televisivo e pubblicitario da ben 18 anni e la causa è di quel conflitto di interessi di Silvio Berlusconi che non si è mai voluto risolvere.

 

Prova ne è la polemica, a pochi giorni dal voto, sull’acquisto de La7 da parte di Urbano Cairo, innescata da Berlusconi con il PD, reo di aver suggerito a Telecom, proprietario dell’emittente, di aspettare a vendere dopo le elezioni. Secondo il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, è meglio che «queste decisioni avvengano senza conflitti di interessi o posizioni dominanti. Non so se Cairo è collegato a Mediaset. Ci sono autorità che si occupano di queste cose, ma chi governa è amico di tutti e parente di nessuno». Sobria la risposta di Berlusconi, secondo il quale quello di Bersani è «un avvertimento mafioso». Il leader del Pdl ha poi aggiunto: «Non ho rapporti con Urbano Cairo. È diverso tempo che non lo sento. È andato a fare l’imprenditore personale per una scelta che ho condiviso». Controreplica di Bersani: «Quando si parla di regole Silvio Berlusconi è particolarmente sensibile, perché le regole gli danno l’orticaria». La lite Berlusconi-Bersani conferma ancora una volta che la commistione tra pubblico e privato in Italia è patologica e che la libertà di antenna rimane una chimera. Ma quando ebbe inizio ufficialmente questa guerra politico-affaristica per l’etere?

 

«L’impresa rappresentata da Berlusconi è potuta diventare un impero proprio per la mancanza di una legge». A pronunciare queste parole non ieri, ma ben 27 anni fa, è Sergio Zavoli, all’epoca presidente della Rai (e oggi presidente della Commissione di Vigilanza) in occasione di un incontro pubblico organizzato il 12 settembre 1986 dalla Festa dell’Unità al quale presero parte Silvio Berlusconi, l’editore di Mondadori Mario Formenton e il giovane responsabile del settore media del Pci, Walter Veltroni. Nel video, tratto da un tg Rai, il cronista confeziona il classico “pastone” riepilogando le dichiarazioni degli ospiti e facendo inquadrare Silvio Berlusconi madido di sudore mentre chiede a gran voce di avere la diretta.

 

Al termine del servizio segue un estratto della ripresa grezza dell’intervento di Berlusconi in cui parla a braccio per oltre 20 minuti, lasciandosi andare a dichiarazioni che, ancora una volta, sembrano roba di qualche giorno fa: «Io non credo nell’affermazione di Zavoli secondo il quale l’informazione è politica, o soprattutto politica… Se ci daranno la diretta, faremo un’informazione alternativa, che quando sarà cresciuta sarà una voce in più per dare al nostro Paese maggiore libertà e democrazia. Zavoli mi ha accusato di essere un esperto di abusi degli abusi. Non sono d’accordo: contro di me ci sono quasi 100 sentenze della magistratura italiana presso la quale siamo stati attaccati».

 

Ma per quale motivo Berlusconi accettò di partecipare a quell’incontro? Il davanti e dietro le quinte lo spiega bene Michele De Lucia nel suo libro inchiesta Il Baratto, edito da Kaos Edizioni nel 2008, e il cui sottotitolo non lascia adito a dubbi: Il Pci e le televisioni: le intese e gli scambi fra il comunista Veltroni e l’affarista Berlusconi negli anni Ottanta. Michele De Lucia, giornalista radicale, dimostra nel suo libro che il Pci non ostacolò l’approvazione nel 1984 del decreto Craxi, poi ribattezzato «Salva Berlusconi», ottenendo in cambio il controllo di Rai3, sino a quel momento rete sfigata nata con intenti federalisti mai realizzati dalla tv di Stato. Il decreto fu approvato in pochi giorni grazie al pronto intervento del Presidente del Consiglio Bettino Craxi, che tornò in fretta e furia da Londra, dove avrebbe dovuto incontrare il Primo Ministro Thatcher, per risolvere il pasticcio dei tre pretori che il 16 ottobre 1984 fecero oscurare i tre canali Fininvest in Abruzzo, Lazio e Piemonte. Secondo Berlusconi e il suo entourage, questo provvedimento fu un’azione decisa a tavolino dal cosiddetto «clan degli avellinesi», capitanato da Ciriaco de Mita, segretario della Dc, che non vedeva di buon occhio il ruolo sempre più importante delle tv di Berlusconi nel sostenere il segretario del Psi e suo nemico, Bettino Craxi.

 

Il clamore per l’azione decisa da giudici – alcuni dei quali conterranei di De Mita e quindi secondo Berlusconi manovrati – fu enorme: ne seguì la cosiddetta Guerra dei Puffi, con manifestazioni di piazza che per la prima volta vedevano protagonisti massaie, bambini e disoccupati tutti felicemente teledipendenti e incazzati neri perché rimasti orfani di Dallas, telenovelas e cartoni animati. Maurizio Costanzo organizzò al teatro Giulio Cesare di Roma una diretta dal titolo «Speciale Black Out», dove spunta anche un giovanissimo Tiberio Timperi (guarda il video).

 

Michele De Lucia sottolinea nel suo libro il ruolo importate che nella vicenda ebbe un altro pezzo grosso del Pci dell’epoca: Giorgio Napolitano. L’attuale Presidente della Repubblica era il leader della cosiddetta corrente “migliorista” del Pci, cioè ispirata a una destra tecnocratica e filo-craxiana. De Lucia porta come prova dell’inciucio PCI-Berlusconi le pagine sponsorizzate dalla Fininvest de Il Moderno, foglio di partito di cui fu anche responsabile editoriale Napolitano.

 In questo video registrato in occasione della presentazione del libro, De Lucia racconta tutta la storia, soffermandosi sul ruolo che ebbero anche Achille Occhetto e Walter Veltroni, quest’ultimo anche autore nel 1990 del libro Io e Berlusconi, sul suo rapporto con il Cavaliere per il quale ebbe parole di elogio nel 1986, quando riuscì a siglare a Mosca un megacontratto con la televisione sovietica. «Intendo rivolgere a Berlusconi due complimenti sinceri, di stima. Il primo per la sua capacità di imprenditore che è riuscito a “inventare” un settore. Il secondo complimento va alla sua capacità di aver imposto, attraverso un alto grado di egemonia, i tempi della decisione politica in un settore così delicato come quello nel quale opera». 

Veltroni ha i media nel Dna: figlio di Vittorio, primo direttore del Tg Rai nel 1954, e di Ivanka, dirigente Rai, è stato togliattiano anticapitalista, kennediano liberista, terzomondista pentito, direttore dell’Unità edizione figurine Panini, sindaco di Roma delle notti bianche e dei festival con star di Hollwyood a far da ornamento al Campidoglio e mille altre cose. Ha di recente abbandonato la politica attiva, forse per dedicarsi alla sua passione di sempre: il cinema. Diplomato all’Istituto Cinetv “Rossellini” di Roma, Veltroni avrebbe voluto fare il regista, ma ha dovuto ripiegare sulla letteratura e la critica cinematografica, lasciando ad altri il delicato compito di realizzare i film da lui scritti o fatti finanziare quando si occupava di cultura nel primo Governo Prodi. Celebre il suo “sdoganamento” di Edwige “Giovannona Coscialunga” Fenech, protagonista dei film scult della sua gioventù al quale sicuramente stava pensando quando rilasciò quest’intervista nel 1976 ai tempi in cui militava nella Federazione dei Giovani Comunisti.

 

 

twitter@LucaMartera

 

 

 

(Nella foto, da sinistra, Silvio Berlusconi, Walter Veltroni e Sergio Zavoli)