Pubblicato il 10/01/2013, 14:25 | Scritto da La Redazione

ECCO L’ECCEZIONALE VIDEO-CRONISTORIA DELLA “RELAZIONE PERICOLOSA” TRA SANTORO E BERLUSCONI

 

 

Il nostro blogger-verificatore ripercorre la ventennale “relazione pericolosa” tra il cavaliere e il giornalista salernitano, a poche ore dallo storico faccia a faccia su La7.

Parafrasando Sabina Guzzanti, che nel 2001 a proposito della seconda vittoria alle elezioni politiche di Silvio Berlusconi, disse: «Ha vinto le elezioni Berlusconi, ma le hanno perse gli italiani», con tutta probabilità si può dire che comunque vada il duello di stasera alle 21 su La7 lo vinceranno sia Santoro che Berlusconi, ma inevitabilmente lo perderanno gli elettori-telespettatori-consumatori-tifosi italiani. La tv nasce come mezzo d’intrattenimento e poi diventa finestra informativa sul mondo, utilizzando le tecniche di racconto della radio e del teatro che mettono sempre al centro dell’attenzione il mattatore il quale ha, a sua disposizione, due strumenti per magnificare il suo istrionismo: il primo piano e l’uso delle mani.

Berlusconi e Santoro sono maestri di quest’arte ed entrambi professano da sempre una televisione emotiva e di pancia. Un teatro della crudeltà, appunto, dove la razionalità dei fatti va a farsi benedire a favore del match senza esclusioni di colpi e del sangue che scorre a fiumi. In questa recita a soggetto che è la telepolitica, Berlusconi ricopre – dal vivo in studio o in collegamento al telefono – il ruolo dell’impresario-puparo, mentre Santoro riveste quello più modesto del capo-comparse, anche se lui aspirerebbe più al titolo di regista. La sua ossessione per Rossellini e Pasolini è nota, ma tutt’al più potrebbe ambire al ruolo di «metteur en scène» di opere liriche, avendo dimestichezza con la piazza e la «gggente», ma lo «Zeffirelli rosso» avrebbe comunque un grosso limite: il finale mostrerebbe sempre la scontata esecuzione capitale di quelli che secondo lui sono i colpevoli.

Il problema è che siamo in Italia, il Paese dei gattopardi, dove il principio del «mi conviene» governa su tutto e dove è impossibile fare la rivoluzione  perché – come disse il giornalista Mario Missiroli – ci conosciamo tutti. Un alibi, questo del «tutti-colpevoli-nessun-colpevole», usato sempre da certi mascalzoni della politica, dell’economia e dei media, per giustificare i propri tornaconti. Michele Santoro non è un mascalzone, ma non è esente da certe ambiguità, avendo lavorato come dipendente del Cavaliere. È particolarmente istruttivo, quindi, ripercorrere il rapporto di fatale attrazione che Santoro ha sempre avuto nei confronti del Cavaliere.

1987: Michele Santoro, voluto da Sandro Curzi al Tg3 su suggerimento di Giuseppe Vacca, conduce Samarcanda sulla terza rete. È ancora impacciato davanti al video, non ci sono ancora i collegamenti con le piazze e lo studio è tutto nero. Il programma, in realtà, porta la firma del suo inventore Giovanni Mantovani, di professione catto-comunista. La scaletta si occupa anche di argomenti di società e costume e curiosamente in una puntata annuncia un servizio realizzato a Milano da Francesca Barzini (la sua attrazione per le contessine rosse è proverbiale), che sottopone al “tribunale del popolo” Antonio Ricci e il suo Drive In, vent’anni prima che venisse considerato pretestuosamente dai soloni antiberlusconiani il programma simbolo di tutte le nefandezze compiute dal regime del Biscione. Guarda il video.

1994: Santoro è uno degli eroi di Tangentopoli. La sua informazione apertamente schierata e faziosa lo rendono un personaggio popolare e temuto. Il 26 gennaio Berlusconi è sceso in campo con il suo messaggio alla nazione e pochi giorni dopo, il 3 febbraio, Santoro ne parla a Il rosso e il Nero con Walter Veltroni ospite in studio. Colpo di scena: Berlusconi interviene al telefono e Santoro gli domanda: «Se vince lei, che succede in Rai?». «Me lo domanda, me la compro io». Santoro: «Ma lo dice seriamente?». Berlusconi tranquillizza: «Ma andiamo, Santoro!». Guarda il video. In un’altra puntata Santoro parla del libro Inchiesta sul Signor Televisione di Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, ristampato dalla Kaos, in cui si parla per la prima volta in televisione delle collusioni mafiose del Cavaliere e della misteriosa origine dei suoi capitali. Giuliano Ferrara lo accusa dalle reti Fininvest di essere un diffamatore professionale, strappando per protesta un bollettino per il pagamento del canone televisivo.

1995: Santoro incontra per la prima volta faccia a faccia Berlusconi negli studi di Temporeale. Si discute dell’avviso di garanzia recapitato al Cavaliere e Santoro gli chiede conto di un incontro segreto con Antonio Di Pietro. Berlusconi, al solito, replica così: «Lei è abilissimo nell’interrompere le emozioni». Guarda il video. Memorabile un’altra puntata sul tema dell’antitrust. Super-ospite in studio è Eugenio Scalfari, secondo il quale: «Berlusconi ha costruito un monopolio televisivo perché ha potuto contare su risorse illimitate messegli a disposizione dalle banche controllate dal Psi e dalla P2». Berlusconi interviene al telefono: «Scalfari mente e se non porterà le prove di quanto ha detto, milioni di persone potranno capire che hanno ascoltato un calunniatore». Racconterà qualche anno dopo Santoro nel suo libro Michele chi?: «Cavaliere, ci sta prendendo gusto. Aveva detto che nemmeno l’avrebbe guardata la trasmissione. Mi fa piacere che abbia cambiato idea. Capisce che è un appuntamento da non perdere». Berlusconi: «La vedevano nelle mie cucine, il cuoco m’ha chiamato perché parlavate di me». Dunque nella grande casa romana decine di televisori giacciono spenti per volere del padrone di casa, ma lì dove ferve l’attività proletaria, in mezzo ai forni e ai fornelli, s’accende la luce della libertà. Come ai tempi della Resistenza. «Come si chiama il suo cuoco, cavaliere?». «Michele, come lei». «Allora, grazie di esistere cuoco Michele, resti pure su Temporeale». Pubblicità. Con il conduttore che a ogni passaggio continuava a fare olé. Scalfari, al contrario, non s’è più ripreso. Con un’ultima disperata difesa trae da una tasca interna un fogliettino con un verbale della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2. Qualcuno ha l’impressione che una mano pietosa gli tenda un aiuto insperato durante l’intervallo. Non è stato così. «Ma sono conclusioni politiche quelle», chiosa sarcastico Berluskaiser. Ancora non mi capacito di quel silenzio insistito di Scalfari. Come se Berlusconi avesse fatto balenare, allusiva e comprensibile solo ai due contendenti, la minaccia di svelare un segreto. Riguarda la vendita di Repubblica? Il Cavaliere ne aveva preso il controllo. Solo l’intervento di Andreotti ci mise una pezza. Andreotti e Ciarrapico, amici della P2, hanno consentito a Barbapapà di restare al suo posto. Guarda il video.

1996: l’Ulivo di Prodi vince le elezioni e Michele non serve più alla causa. Il presidente della Rai Enzo Siciliano lo liquida con il celebre «Michele chi?» e Santoro sbatte la porta, andandosene proprio dal Cavaliere, quello dagli oscuri inizi imprenditoriali e dalle sospette amicizie mafiose. «Pecunia non olet» ed è così che, su suggerimento di Fedele Confalonieri e il placet del Berlusca, Michele prende il timone di Moby Dick su Italia 1 per ben tre anni dal 1996 al 1999.

2001: Santoro riprende il filone del Berlusconi mafioso nel suo programma Il raggio verde, dopo le polemiche sull’intervista in piena campagna elettorale di Daniele Luttazzi a Marco Travaglio sul  suo libro scritto con Elio Veltri L’odore dei soldi, partendo dal refrain: «Cavaliere, dove ha preso i soldi?». Berlusconi preferisce firmare contratti in diretta con il notaio Vespa, che non gli contesta la mancanza della controfirma degli italiani. Il Cavaliere trova comunque il tempo di replicare in diretta al telefono a Santoro, con il quale scambia opinioni pacate sulla funzione del servizio pubblico e su a chi dei due ne spetta il comando: «Santoro, lei è un dipendente del servizio pubblico si contenga». «Sono un dipendente del servizio pubblico, ma non sono un suo dipendente». Guarda il video.

2002: il 18 aprile è una data da sussidiario scolastico, Berlusconi pronuncia l’editto bulgaro, annunciando la resa dei conti contro Enzo Biagi, Michele Santoro e Daniele Luttazzi. Santoro risponde cantando Bella Ciao e dopo qualche tempo lascia il programma Sciuscià per una puntata sulla crisi idrica in Sicilia che tira in ballo le connivenze mafiose di Totò Cuffaro e per aver invitato Maurizio Costanzo, il quale afferma che in Rai c’è una limitata libertà di espressione.

2004: elezioni Europee. Santoro si presenta e vince. Enzo Biagi lo appoggia con queste parole: «Curiosamente sono tornato in politica, si fa per dire, grazie all’epurazione berlusconiana. In poche parole, mi sono sentito vicino a un collega con il quale prima avevo avuto poco a che fare. Parlo di Michele Santoro; abbiamo fatto una televisione diversa, ma forse abbiamo cercato di raccontare le stesse cose. In questi anni ho avuto modo di conoscerlo. Non è l’aggressivo di Sciuscià e Samarcanda, ma un uomo molto pacato, gentile, a volte anche timido e quando mi propose di fare insieme a lui e a Lilli Gruber un manifesto in occasione del voto europeo del 2004 con lo slogan “Per la libertà di tutti” sotto il simbolo Uniti nell’Ulivo, ben volentieri ho accettato e sono felice dei loro due milioni di voti».

2006: Santoro soffre la sindrome di astinenza da video e anche se la politica l’ha già fatta in gioventù a Salerno come extraparlamentare maoista e poi funzionario PCI, si dimette da eurodeputato e saluta i suoi due milioni di elettori e come una rockstar raccoglie il microfono lanciato in diretta da Adriano Celentano nel suo RockPolitik su Rai1. Come Antonio Di Pietro che si toglie la toga, come Mina che canta all’ultimo concerto alla Bussola, Santoro si toglie un po’ di sassolini, minacciando che riprenderà presto la sua battaglia contro Silvio Berlusconi dagli schermi tv.

2013: Santoro è un uomo anziano e analogico. Come Silvio Berlusconi. Fortunatamente l’informazione in rete rappresenta una salutare via di fuga per sottrarsi all’ennesimo teatrino catodico che si ripete stancamente da oltre venti anni. Nel romanzo di Tom Wolfe Il Falò delle Vanità e nell’omonimo film di Brian De Palma, la corruzione generalizzata di tutti i poteri è il pretesto per far esplodere splendidamente tutte le contraddizioni dell’animo umano, così pieno di paure e debolezze e per questo naturalmente egoista e predatorio. Bisogna avere talento per raccontare queste contraddizioni e Santoro, pur avendone capacità e mezzi, si è tutt’al più limitato a raccontarle, mai ad anticiparle.

 

twitter@LucaMartera

 

(Nella foto, da sinistra Silvio Berlusconi e Michele Santoro)