Pubblicato il 22/11/2012, 14:32 | Scritto da La Redazione

IL GRANDE SCHERNO: OVVERO 60 ANNI DI TV SECONDO IL CINEMA ITALIANO

Il cinema ha sempre sbeffeggiato il piccolo schermo, demonizzandolo come il medium più pericoloso per la società. Il nostro blogger-verificatore, con l’aiuto di video esclusivi, racconta la storia di questa eterna guerra.

Il cinema e i cineasti, quando si sono occupati della televisione, l’hanno quasi sempre sbeffeggiata, disprezzata, denunciata, condannata, demonizzata, talora cogliendo o magari anticipando seri motivi di considerazione critica, più spesso enfatizzandone oltre misura gli aspetti e gli effetti degenerativi, e ogni volta mettendo in guardia contro i rischi e i danni della sua invadenza, della sua volgarità e della sua stupidità, e soprattutto del suo potere. La paranoia antitelevisiva non è certo un’invenzione del cinema, ma il cinema ha una ragione e un interesse speciale nel coltivarla, poiché la televisione è sua diretta concorrente, il nuovo medium da cui il vecchio si sente detronizzato.

Per il cinema europeo: molto prima dell’avvento della tv verità e della televisione del dolore, Bertrand Tavernier ha raccontato un mondo dispotico dove la morte (La Morte in diretta) è spiata da una telecamera miniaturizzata inserita nell’occhio di un operatore, mentre Pedro Almodovar ha tinteggiato, in Kika, un quadro eccessivo degli eccessi del reality-show.

Nel cinema americano il television-movie è un genere assai frequentato, in particolare il sottogenere dei film sul giornalismo televisivo: da Sindrome cinese a Dentro la notizia, da Cambio marito a Qualcosa di personale, da Eroe per caso a Da Morire sino a La Seconda guerra civile americana e Insider – Dietro la notizia, che chiudono definitivamente la riflessione sul potere micidiale dell’informazione televisiva, in particolare nel suo rapporto con l’establishment, come hanno ben dimostrato anche i satirici Sesso e Potere e Candidato a sorpresa e i documentari The Yes Men Fix the World, Bowling for Columbine e Fahrenheit 9/11, questi ultimi due di Michael Moore.

Punta estrema della critica a questo medium è sicuramente Assassini nati di Oliver Stone: esibizionismo e voyeurismo, compiacimento del torbido e gusto dell’orrido, uso e abuso di sangue, morte, violenza, massacro e ogni altra materia raccapricciante, vengono dispiegati, in questo film altamente controverso, nella convulsa e frantumata rappresentazione di una società che i media tengono sotto la non resistibile fascinazione del crimine.

Oltre al tv-reporting, altri generi sono stati presi di mira dal cinema americano: la soap opera con Tootsie e Bolle di sapone, la sitcom con Autofocus, i giochi con Quiz show, Magnolia e Confessioni di una mente pericolosa, i varietà con Bamboozled, Re per una notte e i reality show con The Contenders, Ed Tv, American Dreamz e Live!.

Sul potere di suggestione, abuso di credulità popolare e istupidimento prodotto dalla televisione, tre sono i titoli fondamentali: l’antesignano Un volto nella folla, il pamhplettistico Quinto potere («Sono incazzato nero e tutto questo non lo sopporterò più» invitava a ripetere l’anchorman Peter Finch) e i poetici Oltre il giardino e The Truman Show. Chiara e netta è in queste pellicole la condanna della tv come «strumento del diavolo» della realtà contemporanea.

Discorso a parte merita il cinema italiano, che ha raccontato miserie (molte) e grandezze (poche) della tv di Stato prima e commerciale poi sin dai primi anni dalla nascita del nuovo medium in più di trecento film, soprattutto commedie, prodotte dagli anni ’50 sino a oggi e dirette tra gli altri da Michelangelo Antonioni, Dino Risi, Mario Monicelli, Luigi Zampa, Luigi Comencini, Gianni Amelio, Ettore Scola, Elio Petri, Nanni Moretti.

Un curioso reperto di satira televisiva formato Rai monocanale è I Teddy Boys della Canzone (1960) di Domenica Paolella con protagonisti Delia Scala, Teddy Reno e Paolo Panelli, i quali, non riuscendo a farsi ricevere dal direttore della tv, se ne organizzano una clandestina – finanziata dal Cavalier Amato! – che a poco a poco ottiene un enorme successo di pubblico. I tre sfuggono alla polizia e alla fine saranno nominati direttore del secondo canale. Serie b tanto demenziale quanto profetica. Non mancano in questo periodo i film che criticano apertamente la censura Rai e la responsabilità della tv di Stato nell’istupidimento degli italiani: da Pugni, pupe e marinai a Urlatori alla sbarra, sino a quelli degli anni del boom I mostri (episodi: L’oppio dei popoli e Il Testamento di San Francesco), Il profeta, Un italiano in America e il gustoso l’episodio Guglielmo il dentone dal film I complessi.

Di grande attualità sono in particolare: il direttore del Tg unico nazionale che non permette al caporedattore di parlare male delle forze dell’ordine (Mordi e fuggi, 1972) e il viscido funzionario Rai che scheda i suoi dipendenti in base all’orientamento sessuale (Contestazione generale, episodio La bomba alla televisione, 1969), una figura ispirata a Federico Umberto D’Amato, storico capo dell’Ufficio Affari Riservati, che cominciò alla fine degli anni Sessanta a occuparsi anche di personaggi dello spettacolo tra militanti e simpatizzanti di sinistra, tra cui su Dario Fo, Enzo Jannacci, Milva, Sergio Endrigo, Caterina Caselli, Giorgio Gaber, Gian Maria Volonté, Federico Fellini, Mario Scaccia, Florinda Bolkan, Gianni Morandi.

Tanti anni dopo lo stesso Fellini farà ricorso al suo prediletto immaginario circense per rappresentare, in Ginger e Fred, la degradazione dello spettacolo popolare nel formato tipicamente italiano del contenitore televisivo, attaccando frontalmente Silvio Berlusconi nella figura del Cavaliere Lombardoni, patron di una Cinecittà prefigurata già nel 1985 come fabbrica di casi umani a uso e consumo della tv. Di questo duello Fellini versus Berlusconi si è occupato anche il regista Valerio Jalongo, che nel 2009 ha realizzato il documentario Di me cosa nei sai sulla crisi del cinema italiano, realizzando un trailer polemico censurato dall’Istituto Luce che aveva prodotto il film (qui il video).

Dagli anni Novanta sino a oggi il cinema italiano è ritornato spesso sull’argomento, puntando più alla critica facile (Perdiamoci di vista, Ricordati di me) che alla riflessione sul potere del mezzo (Il siero della vanità), concentrandosi inevitabilmente negli anni successivi su Silvio Berlusconi (Viva Zapatero!, Il Caimano), ovvero il primo capo di governo di un Paese democratico che ha trasformato il consumatore, il tifoso di calcio e lo spettatore televisivo in un’unica persona: l’elettore.

Su quest’argomento ho realizzato nel 2006 uno speciale per il programma La Storia siamo Noi dal titolo Il Grande Scherno diviso in sei capitoli: introduzione, Sognando la tv, Il Grande Circo della Tv, Eros e Censura, Politica e Informazione e Raccomandazioni (qui il video).

Nel prologo Sognando la Tv si parla della tv immaginata nei due film di epoca fascista Mille lire al mese e Batticuore ambientati il primo in Ungheria e il secondo nell’immaginario Paese di Svetonia, nel quale un’interferenza mescola in maniera inconsapevolmente lungimirante le immagini di un comizio e quello di uno spettacolo di danza (qui il video).

Nel capitolo Il Grande Circo della Tv si va dai proto-casi umani di Lascia o Raddoppia? alla prima denuncia di Fellini, che racconta di un finto miracolo allestito come un set televisivo ne La Dolce Vita, dall’oppio dei popoli dei Mostri agli eccessi della tv commerciale degli albori, sino alla global-trash tv dei reality attuali (qui il video).

Nel capitolo Eros e censura si ripercorre la storia del sesso in tv dall’inaugurazione della Rai sino alla liberazione degli anni ’70 con la sua mercificazione per fare ascolto. Esemplificativa è la sequenza di Fantozzi-Villaggio che si eccita davanti agli strip cellulitici delle tv locali (qui il video).

Nel capitolo Politica e informazione si parla del controllo politico sulla tv. Il piccolo schermo è stata democristiano tout court dalla sua nascita, poi sono si sono aggiunti i socialisti con la riforma del 1975 e i comunisti negli anni ’80. Come ha influito la politica sugli stili di vita, i desideri e i sogni degli italiani? E come hanno usato la tv i politici? (qui il video).

Nell’ultimo capitolo Raccomandazioni si parla di Vallettopoli, che ovviamente è sempre esistita, come ben esemplifica nello scult Si ringrazia la regione Puglia per averci fornito i milanesi, Massimo Boldi, nei panni del volgarissimo direttore di TeleBassa Padana Canale 5 Max Bernasconi che promette a una ragazzina un posto di valletta in cambio di sesso. Ma a interessare è forse più la raccomandazione politico-ideologica in base alla quale vengono propinati e spacciati per artisti dei servi organici pseudo-alternativi: illuminante è in tal senso la raccomandazione del regista «de sinistra» a colloquio con il dirigente comunista della Rai Stiller-Reggiani nel film La terrazza di Ettore Scola (qui il video).

Lo speciale racconta quindi attraverso questo particolare sottogenere cinematografico una storia parallela degli ultimi sessant’anni, soffermandosi spesso su quelle censure e manipolazioni che mettono in luce i nostri peggiori vizi e difetti nazionali. Manca dallo speciale il recente Reality di Matteo Garrone, che però arriva fuori tempo massimo, non tanto per le copiose citazioni più o meno dichiarate di Fellini, Pasolini e Petri, ma per la sua furbizia mascherata da denuncia. La stessa di cui è rimasto vittima inconsapevole Danny Boyle, regista del pluri-premiato The Millionaire, che racconta la storia del ragazzino indiano nato e cresciuto nella baraccopoli di Mumbai e si riscatta grazie alla vincita nel game-show Chi vuole essere milionario?. Slumdog Millionare – l’unica cosa non ipocrita è questo titolo – è infatti una mercificazione pornografica dell’infanzia violata al cui confronto le cicche spente sulla mano da Vittorio De Sica al bambino Enzo Staiola di Ladri di Biciclette sono una roba da dilettanti.

 

twitter@LucaMartera

 

(Nella foto Alberto Sordi in Guglielmo il dentone)